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UNA CASA A BALI di Colin McPhee

Gianni Mezzadri 25 giugno, 2011     No Comment    

 

“…Una sera, mentre eravamo in auto, sorse sopra i campi la luna piena: scarlatta, enorme, incredibilmente deformata dalla bruma invisibile. Dissi a Sarda di fermare la macchina e rimasi a contemplare in silenzio lo spettacolo. Sarda d’un tratto mi chiese: “Non c’è la luna in America?” Lo disse con tale naturalezza che non riuscii a capire se scherzava oppure no…”

Questo è uno dei primi incontri tra Colin McPhee e l’isola di Bali durante il suo soggiorno negli anni trenta, in quel paradiso perduto che è il gioiello dell’arcipelago indonesiano. Dopo avere ascoltato nel 1929 in un dinner party di Manhattan la musica di un gamelan, tipico strumento balinese, attratto da questa inconfondibile melodia decide di trasferirsi a Bali. Musicista e compositore canadese, McPhee rimane sull’isola quasi dieci anni e, aiutato e incoraggiato dall’antropologa Margaret Mead, si dedica ad accurati studi sulla musica balinese.

Il grande merito di McPhee è quello di regalarci la visione di un mondo non ancora definitivamente scomparso, attraverso lo studio e l’analisi di una musica mai sentita che sarà poi paragonata agli esperimenti dell’avanguardia europea dei primi del novecento. Il mito di Bali, quale isola dell’amore libero, paradiso perduto e ritrovato, è nato da un gruppo di artisti e intellettuali europei che si stabilirono negli anni venti e trenta con l’illusione di fuggire dalla civiltà europea e da tutti i sui drammi. Nel secondo dopoguerra, la fama dell’isola venne enfatizzata da “Una casa a Bali”, il libro più suggestivo su quei luoghi, che Mc Phee scrisse dopo aver abbandonato la sua sempre rimpianta isola e la casa stupenda, in mezzo a una natura lussureggiante con la vista sul fiume. “…Costruita secondo lo stile locale, diversi vani a se stanti, uno per dormire, una sala principale, bagno e rimessa. Avrei avuto anche il tempietto, costituito da un gruppo di altarini nell’angolo nord-est del terreno…tutti i materiali tranne quello necessario per i pavimenti, cemento fine del Borneo, si trovavano nell’isola. Volevo che la casa fosse costruita rapidamente, ma Gusti Lusuh mi distolse presto da un’idea che sapeva tanto di “straniero”: non era la stagione adatta al taglio del bambù…”

“Una casa a Bali” diventa l’inconsapevole opera manifesto del dramma di un’intera generazione di spiriti liberi che ritrova sull’isola e nel talento artistico dei balinesi il paradiso tanto cercato. Arte, musica, danze e culti religiosi sono minuziosamente descritti dalle parole di Colin McPhee che si innamorò di Bali e di tutto quello che riuscì a conoscere e imparare. Ritornato infine negli Stati Uniti, continuò a comporre musiche piene di nostalgia, ma l’isola di Bali gli mancava troppo. Incapace di liberarsi dall’alcolismo, nel 1964 morì di cirrosi epatica.

Recensione di Paola Pedrini

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